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Dopo alcune sperimentazioni con colature di colore, sotto l'influsso delle esperienze dell'action painting americana, del 1969 è il ciclo degli Stracci , con forti valenze simboliche e sociali.
Dai primi anni Settanta, la ricerca di Paolo Conti ha indagato il concetto d’identità nel mondo contemporaneo, con l'utilizzo dei ritagli di acciaio dello stampaggio di derivazione industriale.

Nel 1972, sempre a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, in occasione della mostra Omaggio all'Ariosto, Conti espone il Castello di Atlante, un gruppo di sette sculture.
L'opera di Conti Croce entra in collezione permanente di Palazzo dei Diamanti.
Del 1972 è la personale di Conti al Festival dei Due Mondi di Spoleto, durante il quale conosce Giovanni Carandente, che apprezza molto il suo lavoro. Il confronto continuo con il critico d'arte sarà molto importante e culminerà nell'incontro con Henry Moore a Firenze.

Dello stesso anno è la mostra alla Galleria La Loggia di Bologna:
il curatore Renato Barilli parlerà a proposito delle forme di Conti di “negativi dell’industria”.
Il sodalizio con la galleria bolognese sarà duraturo e porterà, negli anni, Conti a contatto con artisti come Sergio Romiti, Paul Jenkins e Georges Mathieu col quale s'instaurerà un rapporto di profonda stima (sarà lo stesso Mathieu a invitare Conti al Salon de Mai di Parigi molti anni dopo, nel 1988).
Nella prima metà degli anni Settanta la ricerca di Conti abbandona le valenze simboliche, per approfondire il ruolo auto-riflessivo dell'arte. Le forme recuperate nelle discariche industriali hanno molteplici sagome, dimensioni e caratteristiche, eppure sembrano tutte ugualmente scarti, perché nella società dell’utile non servono. Non sono di certo "Forme primarie", quelle di Conti sono "Forme in-utili".
Come ha sottolineato l’artista “esse esistono nonostante non siano: sono, per definizione, identità al bando”. Gli studi scientifici, che già da quegli anni affascinano l'artista, lo portano a riconoscere le sue forme come dimostrazione visibile dell'entropia.

In un’installazione del 1972, intitolata "Platone", Conti costruisce una colonna di due metri e mezzo fatta di ritagli saldati e verniciati a fuoco, e la allestisce vicino ad una parete; illuminandola con un fascio di luce (vedi immagine a sinistra) ne proietta la sagoma; costruisce, poi, una cornice di legno grezzo, a losanga, e la appende alla parete, in modo che venga attraversata dall’ombra verticale della colonna; nello spazio interno alla cornice l’ombra viene colorata dall’artista: nasce così la prima intuizione che porterà ai suoi Prigionieri nello spazio.
L’operazione fortemente concettuale dell’artista, crea un attraversamento di diversi domini di esistenza: se la colonna di rottami, infatti, è un elemento reale - per Conti essa è un elemento di "paesaggio", nella realtà esiste, anche se nessuno sembra accorgersene – l'ombra della colonna proiettata entra nella superficie, che è tradizionalmente lo spazio della pittura: l’ombra cambia colore perché comincia l’assunzione di un’identità non più al bando: l’identità della pittura.
L’operazione fortemente concettuale dell’artista, crea un attraversamento di diversi domini di esistenza: se la colonna di rottami, infatti, è un elemento reale - per Conti essa è un elemento di "paesaggio", nella realtà esiste, anche se nessuno sembra accorgersene – l'ombra della colonna proiettata entra nella superficie, che è tradizionalmente lo spazio della pittura: l’ombra cambia colore perché comincia l’assunzione di un’identità non più al bando: l’identità della pittura.
Platone 1972
Nel 1974 s’interessa al suo lavoro Silvano Falchi della Galleria Falchi di Milano. Tramite Falchi Conti conosce Alberto Burri, Emil Schumacher, Horst Antes, Ben Ormenese, Felice Canonico e Fernando Picenni, con i quali nasce un rapporto di stima e amicizia.
A Città di Castello, ospite di Burri per tre giorni, tra appassionate discussioni sull'arte, il maestro umbro mostra a Conti settecento opere custodite nel sotterraneo della casa di via Plinio.
Del 1976 è la grande personale nella monumentale Galleria Falchi, in occasione della quale conosce Arturo Bonfanti che definisce le opere di Conti “ammonimenti medievali”. Opere di Conti entrano in importanti collezioni milanesi e lombarde.
In questo periodo Conti conosce anche il compositore americano John Cage che gli dedica un breve testo ("from a train to another").
Ora la ricerca di Conti è dedita alla costruzione di colonne, cubi, piramidi e cerchi, assemblando le forme che via via sceglie nelle lunghe passeggiate sulle montagne delle discariche industriali. Conti comincia ad interessarsi di vernici a forno con i consigli e l'aiuto di Giorgio Marani. Le nichelature e galvanizzature cedono il passo alle vernici a due componenti e le opere metalliche divengono nere e rosse dopo la cottura nei forni.

Ma nell'approfondimento della propria ricerca, l’artista utilizza molteplici strumenti del fare artistico, dalla scultura alla pittura e con riferimenti culturali che vanno dalla musica alla letteratura, sino all’astrofisica e alla biologia.
Di fondamentale importanza sarà sempre la sperimentazione su carta, che rappresenterà un laboratorio ineludibile per i nuovi cicli di opere.
Espone a Arte Fiera di Bologna (1976 e 1977 con la galleria Falchi di Milano e nel 1975 con la Galleria La Loggia di Bologna).
Nel 1982 è invitato ad Arteder di Bilbao.
Nei primi anni Ottanta inizia l'importante sodalizio con la galleria Fabj Basaglia di Bologna, che porta le opere di Conti in Europa, a Colonia (1987, 1991 e 1992), Amburgo (1988), Basilea (1988, 1989, 1990, 1991, 1992).
Espone a Legnano (1980 e 1981), a Castellanza (1984 a 1985).
Del 1987 è la personale a Venezia alla galleria Il Traghetto di De Marco, dove conosce Ennio Finzi, Luciano Gaspari, il musicista Pino Donaggio e il critico Toni Toniato, che apprezzano le sue opere. Con Giuseppe Santomaso nasce un rapporto di grande stima reciproca. Nella stessa occasione nasce una profonda amicizia con il critico Emanuele Mattaliano, interrotta dalla prematura scomparsa del critico.
Nel 1988 è invitato dall’amico George Mathieu al Grand Palais di Parigi, in occasione del 43° Salon de Mai.
In questi anni, nelle sculture d’ambiente (le “colonne”, i “cubi” e le “piramidi”, dal 1970) e nelle sculture da parete (come i “frammenti”, dal 1987, e i “cerchi”, dal 1992), Conti supererà ogni legame con i concetti di quadro e di supporto, in una libera costituzione dell’opera nello spazio, come se fosse un organismo vivente che si adatta all’ambiente, compenetrandolo.
Del 1989 è la prima grande antologica al Museo del Castello di Caterina Sforza, a Forlì, con un saggio di Roberto Cresti e del musicologo e amico Alberto Basso.
Nel decennio successivo inizia un’intensa attività espositiva internazionale: nei più importanti Musei del Sud America curate da Franco Solmi: a Lima in Perù, a Santiago in Cile, a Montevideo in Uruguay e ad Asuncion in Paraguay (1989-1990).
Nel 1992 espone a Francoforte, alla Galerie Ranu Raraku e nel 1993 a Varese, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna Castello di Masnago con un catalogo a cura di Carlo Castellaneta.
Poi a Rovereto, Palazzo Todeschi nel 1995 e a Brema, alla Galerie Skulpturegarten (1996). Nel 1997 espone a Worpswede alla Galerie Alte Rathaus Dialog 1.
Nel 1997 il secondo libro di Paolo Conti, Rumore di fondo, viene pubblicato con lo pseudonimo di Anonimo Lombardo, dalla Casa Editrice Calderini e poi dall'Alberto Perdisa Editore di Bologna. Conti diventa direttore editoriale della collana di narrativa contemporanea Per Conoscere.
Nel 1998 nasce il ciclo delle tele, nelle quali le sue forme vengono indagate nelle valenze materiali e formali, sino ad una fusione totale sulla superficie della pittura: così, come già stava avvenendo nelle carte del ciclo delle "maschere", sulle tele i ritagli vengono usati come “mascherature” per l’uso di vernici a spruzzo: le vernici vengono ad assumere la stessa funzione che la luce aveva nell’antica installazione Platone, producendo negativi cromatici delle forme sulla superficie.

In questo stesso anno (1998), in occasione dell’Arte Fiera di Bologna, espone con la Galleria PoliArt e inizia il rapporto di profonda stima e amicizia con Massimo Baistrocchi, artista e poeta che porterà le opere di Paolo Conti in Africa, ad Accra in Ghana, al Ghana National Museum (1999) e a Vindhoek in Namibia, alla National Gallery of Modern Art (2002), in collaborazione con l’Ambasciata Italiana (la mostra sarà curata da Giovanni Granzotto).
Dal contatto con i giovani artisti africani, per i quali Conti tiene un ciclo di conferenze, nasce l’idea dei Prigionieri nel piano e delle Erosioni, realizzate con spessi cartoni scavati e verniciati, nei quali Conti sogna un’archeologia del futuro. Sarà questo il titolo della mostra antologica che verrà allestita alla GAM di Cesena nel 2005, curata da Renato Barilli.
Nel 1998 Paolo Conti aveva incontrato Giampaolo Paci, con il quale nasce un profondo sodalizio. Con la Paci Contemporary le opere di Conti verranno esposte a Londra (2005), New York (2006), Los Angeles e Strasburgo.
Nel 2002 e 2003 è invitato ad esporre con gli artisti del cinetismo internazionale a Roma, ai Musei di San Salvatore in Lauro e a Spoleto, alla Galleria Civica d’Arte Moderna, a Palazzo Collicola (una tela di Conti entra nella collezione permanente del Museo)

Con Ormenese, Costalonga,
Garcia Rossi e Le Parc - Roma (2002)
Nel 2004 è invitato alla mostra "Dipingendo l'Europa. Tra Cinetismo e Costruttivismo" a Genova Città Europea della Cultura, con Francisco Sobrino, Horacio Garcia Rossi e Ben Ormenese.

Nel 2003 nascono i Prigionieri nello spazio, nella cui frugalità Conti giunge a sintetizzare le sue esperienze precedenti. Sulle forme, usate come maschere, infatti, restava un eccedente di colore; i ritagli rimanevano cioè incrostati di quelle vernici che non sono servite: divengono pertanto “rottami al quadrato”, perché oltre ad essere rottami per nascita, portano su di sé il “rottame” della pittura. È così che realtà e arte si fondono, attraverso la consapevolezza e la
con Francisco Sobrino e Horacio Garcia
Rossi - Genova (2004)
fusione dei loro negativi.
Nei Prigionieri nello spazio, avvinghiati a lacci di acciaio, gruppi di forme verniciate sono incorniciati da spesse e grezze cornici di legno: è la rivelazione e la sintesi di trentacinque anni della ricerca contiana, in un’unica opera fatta di arte e realtà insieme.
Queste opere faranno parte dell’antologica al Museo di Palazzo Gradari a Pesaro, curata da Vittoria Coen e Claudio Rizzi (2006).
Dai Prigionieri nello spazio nasce Babel ovvero la mente dell’artista, esposta ai Musei degli Antichi Magazzini del Sale di Cervia, nella mostra ON L'opera nuda, con Biasi, Tornquist e Sobrino, a cura di Giovanni Granzotto (2007).
Nel 2009 è la grande antologica al Museo MAGI di Pieve di Cento, a cura di Vittoria Coen e con un film di Stefano Attruia e le musiche di Paola Samoggia che da anni segue il lavoro dell'artista.
Intanto si sono succedute le mostre in gallerie private come la Meeting di Mestre, la Galerie Alain Couturier di Nizza (2005), la Maretti Arte di Montecarlo (2003), la Paci Contemporary di Brescia (2005-2006-2011-2013), M.Y. Art Prospect di New York (2007), lo Studio Antao di San Marino (2011), la PoliArt Contemporary di Milano (2004-2007-2008-2012) e la PoliArt Rovereto (2014) con la grande installazione "IL LABIRINTO", a cura di Valerio Dehò, nella quale l'artista costruisce un'installazione abitabile di oltre 140 metri quadrati.
Nel 2014 nasce l'Archivio Paolo Conti.
Nel 2014 è invitato a Leggerezza della scultura, a cura di A. Villata a Cerrina Monferrato. Nello stesso anno è a Materie, a cura di Simona Bartolena a Brugherio (Milano). Sempre nel 2014 espone alla Galleria Paolo Nanni di Bologna nell'ambito della mostra "Quarant'anni vissuti artisticamente".
Nel 2015 è invitato a StemperandoBiennale Internazionale di opere su carta, a cura di Anselmo Villata, mostra itinerante a Torino (Biblioteca Nazionale Universitaria), Tirana (Museo Nazionale Storico - Albania) e Roma (Museo di Villa Vecchia a Villa Doria Panphilj).
Del giugno 2015 è la retrospettiva Conti "Galvanizzati 1970-1973" a cura di Valerio Dehò, alla PoliArt Contemporary di Milano, mostra che prelude all'uscita del primo volume del Catalogo Ragionato dell'Artista.
Nel 2016 è invitato alla mostra "Dopo Morandi arte a Bologna dal 1945 al 2015" a cura di Renato Barilli.
Nel 2017 esce il Catalogo Ragionato I "GALV 1969-1973" , “GALV 1969-1973” con testi introduttivi di G. Granzotto e V.Dehò.
Mostra allo Studio GR di Sacile “GALV 1969-1973”, con la presentazione del Catalogo Ragionato I.
Nel 2017 al MART di Rovereto è presentato ufficialmente il CATALOGO RAGIONATO I da Gianfranco Maraniello e Renato Barilli.
Nello stesso anno 2017 tiene un intervento sul tema "Arte e Scienza" al Politecnico di Milano, nell'Aula Magna di Architettura allestita con le sue opere.
Nel 2018 è la mostra "80|L'erosione del tempo" alla PoliArt Contemporary di Milano a cura dell'Archivio Conti.
Nel 2019 è invitato alla manifestazione "Transiti" a Palazzo Lascaris di Torino a cura di Raffaella Caruso.
Sempre nel 2019 è invitato alla mostra "Lucio Fontana. E i mondi oltre la tela. Tra oggetto e pittura" a cura di L. Conti e G. Granzotto alla Galleria Comunale d'Arte Contemporanea di Monfalcone.
Nel 2021 la sua opera "Juppiter Jovis" del 1993, appartenente al ciclo dei frammenti, è esposta alla Pinacoteca "Antonio Sapone" di Gaeta nell'ambito della mostra "Ben Ormenese e i suoi tempi".

Tra il 2 dicembre 2023 e il 24 marzo 2024 è la mostra Paolo Conti. Il Castello, alla PoliArt di Milano, a cura di Leonardo Conti.

Il catalogo della mostra, per le Edizioni PoliArt è a cura di Leonardo Conti e Sara Bastianini e contiene tutte le immagini a colori del Castello, installazione di quattro colonne degli anni settanta e una selezione di opere su tela, dal 2003 al 2023.